I PreRaffaelliti…non un granché la mostra a Palazzo Reale

Come si fa a rendere noiosa una mostra sui PreRaffaelliti?? Andiamo a Palazzo Reale e lo scopriamo subito.

La mostra comincia un po’ in sordina con opere mediocri -a parte Ophelia di Millais-, disegni e stampe.

William Holman Hunt, Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais vengono dichiarati protagonisti della mostra ma poche sono le opere degne di nota. Pochi dipinti si distinguono per qualità: tra questi, Il torchio di John Roddam Spencer Stan hope che testimonia chiaramente la passione dei preraffaelliti per il gusto bizantino e La lezione di scrittura di Kit di Robert Braithwaite Martineau del 1852, divertente e quasi Rockwelliano…

A un certo punto della mostra si trovano alcuni pannelli che mettono in relazione temporale gli avvenimenti della seconda metà del XIX secolo in Inghilterra con quelli in Italia e si evidenzia un iteressante parallelismo tra gli inglesi e Giulio Aristide Sartorio, eccezionale artista italiano ancora poco apprezzato dal mercato e dai più. La mostra però purtroppo non si spinge più in là e si limita a una piccola immagine nel bel mezzo del pannello.Poco rilevanti poi alcune opere tra cui di Ford Madox Brown L’ultimo sguardo all’Inghilterra e La nave di Hunt, di una tristezza davvero notevole.

Miglioriamo con Charles Allston Collins e la sua Regent’s Park e la piccola sezione dedicata alla natura raffigurata spesso e volentieri con estrema fedeltà ma l’unica sala davvero interessante é quella delle donne di Dante Gabriel rossetti che risollevano le sorti della mostra: Aurelia, Beata Beatrix, Monna Vanna e Monna Pomona finalmente danno un senso a questa esposizione trascinata tra i drammi descritti nei quadri (che sembrano scelti davvero per tragicità) e portano quasi a fine percorso.

Nell’ultima sala Edward Coley Burne -Jones (di cui finora si sono visti solo mediocri disegni) finalmente propone un bel Tempio dell’amore in cui é chiara l’attenzione alla classicità, al Rinascimento e soprattutto al Mantegna (i putti in alto!).Splendido per fortuna il dipinto che chiude la mostra La Dama di Shalott di John William Waterhouse in cui una splendida fanciulla (naturalmente vittima di un terribile sortilegio) va incontro al suo destino.

Diciamo che é davvero molto distante dalla mostra ironica, innovativa e coraggiosa che ho avuto il privilegio di visitare nel 2017 alla Tate di Londra intitolata QUEER. BRITISH ART 1861-1967: indagando le connessioni tra l’arte e la sessualità dell’epoca Vittoriana -tra omosessualità in via di sdoganamento (grazie anche all’abolizione della pena di morte per sodomia nel 1861!) e bisessualità- la mostra ricostruiva il contesto in cui si collocano le esperienze di Bloomsbury e di molti PreRaffaelliti. E questo contesto non si puó tacere a mio avviso altrimenti si consente solo una parziale lettura delle opere. Anche la scelta dei temi antichi e la carica erotica sottesa a molti dipinti non vengono esaminate…

Insomma belle le opere (alcune) ma peccato non essere andati oltre.

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