Et quidam amabo nisi quod aenigma est?
Cosa amerò se non l’enigma?
E’ la domanda che si pone e ci pone De Chirico con l’autoritratto dipinto nel 1911, anno seguente alla folgorazione per la metafisica. Tre sono i mirabili esempi in mostra della fase precedente al passaggio ed in essi si ravvisa chiaramente una pitture gestuale rapida, il colore corposo, l’ispirazione simbolista.
Passando attraverso lo studio della ritrattistica, del simbolismo e del post-impressionismo con ferma contrapposizione all’ “immobilismo” -come lo definisce lui- di Cézanne, De Chirico approda all’esperienza metafisica in cui l’architettura della piazza completa e valorizza la natura. L’ “Enigma di una giornata” o “La mattinata angosciante” esemplificano l’indagine che De Chirico condurrà per oltre 40 anni.
Il portico come spazio solido ma vuoto si riempie ben presto di figure inaspettate, esseri inumani ma con capacità cognitive: i manichini. Comparsi nel 1914 come proiezioni dell’artista, i manichini diventano emblema riconoscibile per tutti della sua pittura.
Le ombre – che sottolineano anche il trascorrere del tempo -, le arcate e le architetture dominano le Piazze dal 1914 e a partire dagli anni ferraresi (1915-19) si aggiungono il Castello Estense, le vie di Ferrara, il palazzo dei Diamanti che vanno a popolare lo spazio della tela. Anche il colorismo di Cosmé Tura e di Ercole de Roberti entrano con prepotenza nella tavolozza in questi anni.
Dal 1917 trova posto nelle tele anche il Trovatore, personificazione del sapere intuitivo e profondo in contrapposizione con le Accademie che vogliono tutto il sapere come appreso.
Il periodo che segue è dominato dalla forte virata verso la pittura classica e dell’800, virata circoscrivibile in pochi anni ma che porterà ad una decisa rottura con i surrealisti che mai gli perdoneranno il tradimento.
Dal 1922 De Chirico torna alla metafisica con il meraviglioso “Figliol prodigo” in cui il padre, elegante e ingessato, scende dal piedistallo per abbracciare il figlio che, sebbene cresciuto e divenuto muscoloso e potente, non dimentica da dove viene. L’umiltà delle figure che si ritrovano è sottolineata anche dal capo chino di entrambi. Il vecchio e il nuovo che si incontrano e si accettano.
Le opere dal 1926 sono dipinte con maggiore rapidità e inferiore cura delle tinte e dei dettagli, mancanza di attenzione che verrà anche rimproverata dai galleristi al maestro.
La produzione per casa Rosenberg porta lo spettatore direttamente tra i protagonisti di lotte senza enfasi, di battaglie tra morbidi giocattoli modellini che si ritrovano anche nelle tele prestate da quel gioiello milanese che è Casa Museo Boschi di Stefano e dal Museo del’900.
Della stessa serie, il “Trofeo” del 1928 -venduto l’anno scorso in asta da Pandolfini per oltre 600.000 euro- riporta oggetti un tempo fondamentali emblemi di virilità ma accatastati e costretti in una cornice troppo piccola. Quante le possibili letture di quest’opera!
Passando per la serie dei bagni Misteriosi del 1934, che viene eseguita per illustrare la Mythologie di Jean Cocteau, e passando attraverso la breve (ma significativa!) parentesi di New York, De Chirico avvia una fase barocca che dal 1940 dominerà per parecchi anni la sua pittura.
Un abisso separa i valori di mercato dei capolavori degli anni ’10 e ’20 dalle opere barocche e forse perché questa logica dominava anche la sua contemporaneità, De Chirico dal 1950 torna alla metafisica e dà vita alla celebre serie delle Muse Inquietanti, visibili in mostra in tre declinazioni.
La mostra di Palazzo Reale è completa, quasi ogni opera è accompagnata da un interessante pannello esplicativo e nel complesso il percorso restituisce un’immagine molto interessante di questo maestro che ha saputo con la sua arte parlare al mondo intero e tutt’ora lo fa.