“May you live in interesting times” é il tema suggerito dal curatore della 58′ biennale di Venezia, Ralph Rugoff, agli artisti invitati. Diverse le tematiche affrontate dai partecipanti, dalle problematiche ambientaliste alla violenza, dalle profonde indagini sull’IO universale alle incomprensioni tra esseri umani.
Impressionante il padiglione della Russia che presenta i lavori degli artisti Alexander Sokurov e Alexander Shishkin-Hokusai.
L’invito del curatore viene qui accolto con una riflessione sul ritorno del figliol prodigo in chiave moderna: a partire dalla meravigliosa tela di Remdrandt che rappresenta questa scena -custodita alll’Ermitage che ha curato il padiglione-, Sokurov ha realizzato imponenti sculture in creta raffiguranti il padre e il figlio che dialogano con due video a tema guerra e fine del mondo.
La conclusione con esplosioni di luce rimanda alla speranza della redenzione che sottende alla scena del figliol prodigo. Al piano di sotto del padiglione, Shishkin-Hokusai propone una riflessione sul ruolo dei musei e sulla maniera di viverli. L’ installazione consta di diversi pannelli dipinti, -con enfasi sull’ importanza della cornice scelta dai musei stessi per valorizzare e proteggere le opere-, e presenta una serie di marionette-visitatori: quando il meccanismo si attiva, le silhouettes dei visitatori si alzano e si abbassano quasi fossero una giostra. La domanda dell’artista é piuttosto evidente: siamo sicuri che i nostri musei non stiano diventando dei luna park?
Il padiglione Germania presenta una riflessione piuttosto critica nei confronti dell’Italia presentando, tra le altre opere, alcuni video che trattano dei richiedenti asilo, un’installazione che ricorda lo sfruttamento dei braccianti nei campi di pomodori italiani e un’installazione che rimanda ad una nave di salvataggio sequestrata dal Porto doganale di Trapani.
Il padiglione canadese si interroga, tramite alcuni interessanti video, sulla legittimità della concessione delle ferrovie in una zona abitata dagli inuit, chiedendosi se all’epoca degli accordi la comunità locale fosse stata informata e consultata in maniera indipendente dalle autorità.
Molto tempo richiede il padiglione il della Francia che in tanti pensavamo avrebbe vinto questa edizione della Biennale. Straordinaria artista, Laure Prouvost omangia la propria terra del nord della Francia, al confine con le Fiandre, presentando arazzi tipici della regione in abbinata ad un video a ciclo continuo che racconta di un viaggio tra coscienza e incoscienza, tra periferie francesi ed Europa fino ad arrivare a Venezia. Gli oggetti presenti nel video vengono poi riproposti nel padiglione, ricreati in vetro con il supporto di un artista di Murano. Scarpe, cellulari, fontane, sono parte della narrazione del video che, pur essendo autobiografico, propone riflessioni universali.
É il racconto di un mondo che passa attraverso immagini forti e simboliche, come la piovra che con i suoi otto cervelli negli otto tentacoli che inviano messaggi, stimoli e riflessioni al cervello principale ci invita a fare lo stesso rendendo ogni parte del nostro corpo creativa e in dialogo con il nostro cervello.
Per sottolineare l’universalità del suo messaggio, l’artista ha scelto di creare un accesso al padiglione dal retro, quasi a voler imporre al visitatore un percorso di purificazione tra le fronde dei giardini che consenta di affrontare le installazioni privo di pregiudizi. Sotto il padiglione Laure Prouvost ha anche immaginato la presenza di un tunnel di collegamento al padiglione della Gran Bretagna -situato a fianco-, ponendo sotto un faro il tema della Brexit. Lo stesso scottante tema é paradossalmente del tutto ignorato invece dagli inglesi, quasi volessero tenere l’argomento per sé e non proporlo sul tavolo delle discussioni artistiche.
Per sua stessa vocazione, visto che ospita al suo interno tre fusti di alberi, é il padiglione dei paesi nordici a porre più di tutti sotto la lente d’ingrandimento la tematica ambientalista con le opere di due artisti e di un collettivo. Il padiglione riflette sull’ impatto dell’uomo sull’ambiente, sulle varie forme di vita, fino alla riflessione su come rendere ancora più ecocompatibile il padiglione stesso: i numerosi sacchi che compongono il padiglione sono riempiti di una sabbia che a fine esposizione verrà liberata nel giardino antistante, mentre un’installazione riflette sui dissuasori per piccioni visti quasi fossero un’arma ingiusta poiché anche il piccione dovrebbe essere un ospite gradito in Biennale…
Il padiglione degli Stati Uniti presenta in questa edizione il noto sculture Martin Puryear.
La sua scultura che sfida le aspettative, mette in discussione la storia, modifica la consapevolezza e soprattutto indaga il concerto di libertà, stupisce per la semplicità e la compostezza. Il berretto frigio e il carro sono da sempre simboli di libertà per l’artista, mentre la colonna posta al centro del padiglione ricorda Sally Hemings, la ragazza africana schiava di Thomas Jefferson e madre dei suoi figli.
Nella terza sala l’opera Cloistered Doubt propone una riflessione sul fervore religioso di questi anni mentre il chepì rimanda alla fanteria unionista della guerra di indipendenza, così come il copricapo Asa Oke che nuovamente simboleggia libertà. In particolare il chepí affronta anche il forte tema della violenza a mano armata negli Stati Uniti.
Israele presenta direttamente un ospedale per patologie sociali, senza mezzi termini. Molto forte l’approccio di Aya Ben Ron che si concentra su problematiche universali oltre che specifiche d’Israele. Dopo un’attesa volutamente snervante del biglietto, il visitatore può scegliere un tema tra resistenza palestinese, violenza antitransgender, abusi in famiglia, rapimenti di bambini, ed il video scelto viene proiettato. Questo é il modo scelto dall’artista per portare alla ribalta problemi di portata universale che troppo spesso vengono ignorati.
Tra gli interventi più suggestivi nel padiglione centrale, va citato sicuramente quello di Teresa Margolles che porta alla Biennale un tratto di muro di una città messicana crivellato dai proiettili e sovrastato da un filo spinato: Teresa Margolles indaga per scelta sul risultato delle violenze più che sulle violenze stesse.
L’artista é presente anche all’Arsenale con una significativa installazione sulla violenza e sulle donne sparite in Messico nell’ambito della guerra tra Narcos.
Violenza fisica e psicologica e dolore che la separazione o il divorzio provocano sono le tematiche presentate dall’artista Andra Ursuta che presenta casse toraciche svuotate e riempite di ricordi.
Gli artisti cinesi Sun Yuan e Peng Yu propongono invece il tema dell’ impossibilità di arginare l’arte, così come è impossibile per il robot della loro installazione, arginare il liquido simile a sangue: nonostante la macchina infatti sia programmata per tenere il liquido all’interno di un’area circoscritta, esso tende a fuoriuscire senza controllo.
Altre opere interessanti sono i Manichini Cyborg di Ad Minoliti che riportano il pensiero ai personaggi di de Chirico, la figura aliena creata da Cyprien Gaillard che ci ricorda le intrinseche capacità distruttive dell’uomo, l’installazione del sudafricano Kemang Wa Lehulere che tramite il riutilizzo di materiali di recupero delle scuole africane ci ricorda come i programmi scolastici africani siero inadeguati, mentre i cani di ceramica e lo pneumatico avvolto nel metallo alludono alle apirazioni della classe operaia contro la brutalità della polizia.
E ancora: Shilpa Gupta, artista indiana di grande successo, rielabora uno dei classici cancelli utilizzati per proteggere la propria privacy allungandone le punte e creando un’area del cancello stesso come fosse un cervello: un cancello dunque dall’ aspetto inquietante che può chiudersi a suo piacimento con cattiveria e in ogni momento. La stessa artista all’Arsenale affronta anche il tema della censura attraverso una sinfonia di voci registrate che leggono versi dei poeti perseguitati per le loro idee.
Halil Altindere, artista turco, affida invece a Muhamed Ahmed Faris, il primo cosmonauta siriano, il compito di raccontare in un video il viaggio dei profughi siriani e la vita dei rifugiati in Turchia.
Numerose sono le opere che propongono riflessioni sull’ecologia come, all’Arsenale, le grandi opere del cinese Yin Xiuzhen che tramite l’assemblaggio di vestiti usati, acciaio, specchi e luci ricrea parte di un aereo in totale ribellione contro la globalizzazione eccessiva e l’eccessiva velocità che hanno influenzato la crescita della Cina negli ultimi anni.
Critica alla velocità della nostra società arriva anche dall’ artista tedesca Alexandra Bircken che con l’ installazione di una lunga scala presenta una visione di come potrebbe apparire la fine dell’umanità, con personaggi neri che salgono ed arrivano fino al soffitto ma non si capisce dove vadano realmente. L’unica triste certezza è il desiderio di salire sempre più in alto nonostante le cadute che la salita può comportare.
Numerosi dunque gli spunti proposti dalla Biennale che come al solito ci ricorda come l’arte sia specchio e diario della realtà.