Broken Nature

Ha chiuso i battenti domenica Broken Nature, XXII Triennale di Milano una mostra diversa da quelle sono solita visitare.

Si é trattato di un’indagine, più che di una mostra, sul rapporto tra l’ambiente e l’uomo e più nello specifico sul design come creatura dell’uomo che impatta sull’ambiente. Il percorso si sviluppava tra diverse sezione, la prima delle quali già dava un’idea dell’importanza della tematica trattata: attraverso la proiezione su due megaschermi di immagini scattate negli anni ’70-’80 affiancate a scatti di oggi, si percepiva l’urgenza di una riflessione per un cambiamento reale ed immediato della società: i ghiacciai dell’Himalaya, i ghiacciai della Patagonia, la crescita esponenziale delle città, la creazione delle isole artificiali negli Emirati Arabi offrivano un raffronto diretto tra ciò che abbiamo ricevuto in eredità e quello che stiamo facendo.

Conglomerati materiali naturali e plastici creati dalle correnti oceaniche rappresentavano i fossili del futuro, riconoscimento dell’antropocene come la nuova era geologica in cui gli esseri umani hanno lasciato segni indelebili su un ecosistema …

L’opera “Reliquaries menù” del 2018 di Armando Bruno metteva in evidenza la sacralità degli elementi naturali: una goccia d’acqua pulita, una manciata di terra o una raccolta di minerali evidenziavano la caducità delle cose che ci circondano, sottolineando quanto sbagliato sia il nostro approccio attuale alla natura.

Rassicurava, ma al tempo stesso spaventava, scoprire che alcuni laboratori stanno creando delle campionature e delle banche dati in tutto il mondo nel tentativo di preservare la biodiversità.

Tanti i progetti interessanti, come “Maldives sandbars”, un video che presentava alcune strutture geometriche dinamiche ancorate al fondale oceanico con le quali sarebbe possibile convogliare l’energia delle onde per creare sedimenti in punti specifici, proteggendo quindi aree costiere a rischio.

Presenti anche idee un po’ più estreme come quelle in cui si rivede e si progetta un tratto gastrointestinale esternalizzato in modo da consentire all’uomo di nutrirsi di risorse già presenti come radici terra e cellulosa.

“Water tasting” presentava invece una sorta di buffet di assaggio dell’acqua suggerendo come si possa filtrare attraverso legno di pino quarzo acqua di rose e semi, l’acqua del pianeta intendendo suggerire una soluzione a uno dei problemi più gravi come la mancanza d’acqua

Diversi altri progetti erano legati all’acqua, come le taniche utilizzate dai messicani per la raccolta dell’acqua piovana o i cilindri che ruotano su se stessi per consentire alle donne africane di trasportare l’acqua in maniera più agevole dalle fonti ai villaggi spesso lontani.

Dopo questa importante parte, “The great Animal Orchestra” accoglieva i visitatori per un’esperienza davvero unica: commissionata dalla Fondazione Cartier a Bernie Krause, l’installazione proponeva l’ascolto della registrazione di oltre 5000 ore di vocalizzazioni di animali, con il chiaro intendimento di ricordare allo sbadato visitatore moderno che…l’uomo non é l’ unico abitante del pianeta Terra.

Allo stesso modo la sezione dedicata alle piante ci ricordava che noi rappresentiamo solo lo 0,3% del creato rispetto all’81% delle piante!

Con una suggestiva installazione finale, “La Nazione delle piante” evidenziava che …c’erano anche le piante nei momenti storici più importanti e sempre ci saranno e quindi meritano attenzione.

Broken Nature suggeriva che il design può diventare anche uno strumento riparativo e che i designers si possono attivare per creare un mondo diverso e più rispettoso dell’ambiente in cui viviamo.

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