Storie di illustri trafficanti di archeologia

Se già nel 1500 il ritrovamento del Laocoonte aveva suscitato grande curiosità sulle antichità, fu nel 1700 che con le campagne di scavo e la scoperta di Ercolano e Pompei si acuì l’interesse del pubblico verso l’antichità e verso i reperti archeologici. Affreschi parietali staccati vennero usati per decorare i palazzi nobiliari, nacquero grandi collezioni e inizió una vera e propria corsa al reperto. 

Fra tutte si ricorda la collezione di Carolina Bonaparte Murat, sorella di Napoleone e regina di Napoli grazie alla sua investitura, che costruì un’importante raccolta alla quale era estremamente legata, tanto da portarla con sé nella fuga da Napoli, contravvenendo alle leggi che in parte già tutelavano le antichità. Esisteva infatti già una prima norma a riguardo ma nel 1822 vennero istituite nuove leggi borboniche per frenare l’uscita di beni più importanti dai territori cui erano legati, con tanto di commissione che esaminava i pezzi (un po’ come la nostra Sovrintendenza di oggi).
A Milano, Poldi Pezzoli e Trivulzio furono grandi collezionisti di antichità ma con il passare del tempo questo collezionismo non fu più élitario e di alto profilo ma coinvolse anche la borghesia ed infine il grande pubblico portando così ad una selezione dei pezzi meno categorica ed al progressivo ampliamento del mercato anche verso oggetti in precedenza meno amati oppure verso le ceramiche ‘indigene’, di minor pregio. L’esplosione di un collezionismo, un tempo di nicchia, portó inevitabilmente anche alle falsificazioni, alla moltiplicazione dei cosiddetti tombaroli e così via, fenomeni con i quali purtroppo ci confrontiamo anche oggi. Di pochi giorni fa è la notizia dello smantellamento di una vasta rete di trafficanti tra Italia e Svizzera.
Tra le storie maledette dei tombaroli nostrani, quella di Giacomo Medici è nota per la straordinaria rilevanza delle opere che nel corso dei decenni di operatività trattò. Tra i tanti, il cratere di Eufronio del V secolo ac venduto a Robert Hecht, noto antiquario, e da questo a Marion Treu, ex curatrice del Getty di Los Angeles, e da questa al Metropolitan di New York dove rimase dal 1971 al 2006. Nel 2012 la Cassazione ha confermato per questo soggetto 8 anni di reclusione, 10 milioni di euro da versare allo stato per i danni arrecati al patrimonio nazionale e la confisca di oltre 4000 pezzi sequestrati a Ginevra nel 1995.
Altro caso eclatante é stato quello della Venere di Morgantina, sempre del V secolo a.c., trafugato da Renzo Canavesi e venduta negli anni ’80 a Symes, importantissimo antiquario, per 400 mila dollari e da questi al Getty per 10 milioni di dollari.
Negli ultimi anni, dopo decenni di processi, il governo italiano è riuscito a riportare una casa questi e altri tesori e a breve dovrebbe rientrare anche l’Atleta di Fano, importantissimo bronzo di Lisippo, transitato illecitamente da Gubbio a Londra e da lì a Monaco di Baviera per poi essere acquistato, anch’esso, dal poco avveduto Getty Museum.

Il rientro di questo capolavori in ogni caso porta alla riflessione sulla possibilità di fruizione degli stessi: non c’è dubbio che la visibilità offerta del Metropolitan e dal Getty non siano esattamente le stesse del Museo archeologico di Cerveteri -dove é stato collocato il cratere- e di Aidone -dove la povera Venere assiste all’ingresso di un numero assolutamente risibile di visitatori nel pieno centro della Sicilia.
Pur condividendo l’entusiasmo per il rientro di questi inestimabili beni, non posso che domandarmi se un giorno sarà valorizzato dignitosamente il patrimonio di cui disponiamo, creando intorno a tanti musei-cattedrali nel deserto- serie infrastrutture che consentano ai visitatori di godere di tutta la bellezza che possediamo.

I commenti sono chiusi.