Luigi Ghirri in mostra alla Triennale

Nonostante siano molto apprezzate dai conoscitori della materia ed abbiano un ottimo riscontro di mercato, io non ho mai amato le fotografie di Luigi Ghirri. Ho deciso di visitare la mostra personale Triennale per dargli un’occasione, conoscere meglio la sua produzione, comprendere il suo inconfondibile stile e capire se mi sfuggisse qualcosa.

Tutta improntata al rapporto tra la sua fotografia e l’architettura, la mostra presenta immagini pubblicate sulla rivista Lotus tra il 1983 ed il 1992.

Devo riconoscere che la mostra è riuscita nell’intento di farmi apprezzare se non gli esiti, quantomeno gli intenti dell’artista perché i curatori hanno sapientemente accostato alle fotografie numerose citazioni dalle interviste rilasciate dall’autore che aiutano a capire le sue scelte e la sua poetica. Credo siano frasi di grande importanza e quindi riporto fedelmente quelle che -tra le tante- mi hanno dato modo di capirlo un po’ di più:

“La prima cosa che mi colpì nella fotografia di allora (degli anni settanta) era l’assoluta mancanza del presente, c’era una specie di rimozione di tutto il paesaggio che stava intorno. Mancava il presente. Io volevo il presente! Forse è per questo che oggi molti dicono che mi interesso del mondo minore, forse è vero c’è sicuramente del vero ma i termini però vanno ribaltati: per me non è il Duomo di Modena che fa una città, è l’insieme delle atmosfere presenti che fa una città” dall’ intervista a l’Unità, 25 marzo 1984.

E ancora:
“riconosco che da parte mia vi è stato un accentuato interesse verso certi luoghi che possiamo chiamare architettura; le case che componevano la strada dove si abitava, le strade che si percorrevano, i giorno erano e sono l’architettura. Quello che ho fatto tra il 1970 ed il 1975, fotografando immagini delle città antiche, le periferie o prevalentemente quei paesi senza dignità storico-geografica, è stata una ricomposizione di album di famiglia del mio e del nostro esterno”. Da ” fotografare i luoghi, fotografare le architetture” in Paesaggio italiano.
“Credo che la fotografia sia semplicemente la rappresentazione di come si percepisce la realtà il mondo esterno ma questa percezione non è mai univoca o codificabile, è piuttosto un vedere è un sentire a strati. (…)Il problema della rappresentazione dello spazio è sempre stato all’interno della fotografia un problema esclusivamente formale mentre a mio parere è anche un problema che si veda il concetto di tempo.”
“Mi interessa il rapporto tra interni ed esterni soprattutto in Italia dove gli interni delle case, delle chiese, dei cinema, dei negozi sembrano musei in miniatura, una sorta di album locale”.
“Mi interessa lavorare per sequenze riferita a ciascuna minima variazione che fa vivere l’architettura. Così per esempio fotografo nelle diverse ore del giorno per evidenziare come la luce modifica i trasforma per operare raffronti”. 

E infine:
“Questo lavoro sul paesaggio italiano vorrei che apparisse un po’ così come questi disegni, mutevole. Anche qui una cartografia imprecisa senza punti cardinali riguarda più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o iscrizione come una geografia sentimentale, dove itinerari non sono segnati decisi ma obbediscono agli strani grovigli del vedere”.

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