Il ritardo su un volo di rientro da Parigi mi regala il tempo di visitare la Bourse de Commerce, nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea nella capitale francese. L’operazione di trasformazione dello storico immobile ha preso l’avvio per volontà del magnate francese François Pinault -proprietario tra l’altro per chi non lo sapesse della casa d’aste Christie’s- che ha incaricato l’Archistar Tadao Ando di creare questa meraviglia.
Dell’antica struttura edificata nel 1767 come magazzino del grano, rimangono solo le 25 arcate della facciata interna e la scala a doppia elica che su un fianco conduce fino al piano più alto ma molto di ciò che è visibile si può attribuire agli interventi strutturali del XIX che trasformarono il magazzino del grano in borsa del commercio.
A quel periodo risale anche la grande pittura murale che decora la fascia sotto alla cupola di vetro posata nel 1813: è tra il 1886 ed il 1889 che il pittore Alexis-Joseph Mazerolle insieme ad altri quattro artisti dipinge questi 1400 mq di tela con scene di scambi internazionali ampiamente caratterizzati da una visione folkloristica e immaginata delle popolazioni degli altri continenti.
Tutto il resto è bianco e lascia un enorme spazio neutro a disposizione della collezione Pinault, sia per la collocazione dei pezzi già di proprietà, sia per la creazione delle opere site specific.
Un olio su tela di dimensioni colossali accoglie i visitatori nella prima sala: Martial Raysse propone in questa tela di dimensioni importanti una riflessione sul paradosso permanente della nostra contemporaneità, tra gli scontri violenti sullo sfondo e la popolazione gioiosa in primo piano che nei colori riporta la mente la produzione della fase pop dell’artista negli anni sessanta. A tratti crudo nella sua rappresentazione, Raysse ritrae e denuncia la nostra contemporaneità fatta, in estrema sintesi, di molta apparenza e poca sostanza.
Il Futurismo e il ritorno al passato si sposano nell’ opera di Tatiana Trouvé intitolata The Guardian del 2018: otto sedie di guardiani fantomatici disseminate nell’esposizione e realizzate con materiali vari sono simboli che lasciano il segno e inducono a una riflessione sul nostro rapporto con la natura, sulla nostra maniera di abitare il mondo e sul potere dell’immaginazione.
Si arriva così al salone centrale sovrastato dalla grande cupola di vetro, emblema di quella modernità industriale che nel XIX secolo ha portato Parigi in vetta alla classifica delle città più rivoluzionarie, affascinanti e moderne del mondo.
Assolutamente eccezionale l’opera di Urs Fischer creata a partire da una scultura realizzata per la Biennale del 2011, una replica esatta del Ratto delle Sabine del Giambologna, posizionata qui e terminata nel 2020 con un intervento specifico per questa prestigiosa sede. Il punto di partenza è ovviamente la fontana del Giambologna ma Fischer realizza opere in cera che si consumano con il tempo dell’esposizione fino a non lasciare traccia di sé. Una fiammella brucia infatti tutti i giorni eviene viene spenta solo la notte. Attorno alla scultura principale -oltre a un ritratto sempre in cera dell’artista amico Rudolf Stingel anch’esso in cera e soggetto alla progressiva liquefazione- diverse sedie, riproduzioni di quattro pezzi storici africani esposti al museo Quai Branly e semplici sedie da aereoporto o da ufficio, che inducono a riflettere sulla caducità dell’essere umano, sul passare del tempo, sul colonialismo, sul nostro passato e sul nostro futuro.
Tutto attorno alla rotonda al piano terra 24 vetrine propongono oggetti scelti da Bertrand Lavier che utilizza il potere dell’esposizione per qualificare come oggetti artistici alcuni simboli della vita moderna. Il valore dell’uso dell’oggetto è annullato per diventare puro simbolo. Il prelievo, la sovrapposizione e la scomposizione sono gesti fondamentali dell’ artista.
Le opere di David Hammons popolano la galleria 2.
Per la prima volta viene mostrato in Europa un nucleo così corposo di opere di questo artista, stabilito a Harlem dove dagli anni ’70 porta avanti la riflessione che nutre il suo lavoro: recupero, assemblaggio, riqualificazione e ritorno alla vita per gli oggetti recuperati dalla strada sono i concetti alla base delle sue produzioni che si prestano come paradossi, forti della loro usura, a una riflessione su fasti e derive, colonialismo imperialismo, black power e white cube.
Le opere ‘forgotten dream’ e ‘on loan’ ben esemplificano la visione dissacrante dell’artista che ricrea dunque veri e propri mondi a partire da oggetti eliminati.
Artisti la cui opera si è sviluppata a partire dagli anni ’70 sono protagonisti della galleria 3. Un approccio critico alla società contemporanea, attraverso la messa in scena con serialità nelle opere fotografiche di Michel Journiac, Cindy Sherman e Martha Wilson: mettendo in gioco gli stereotipi e i ruoli definiti nella società, questi artisti mettono in dubbio i limiti di genere, di status e di età attraverso il travestimento e la messa in scena di se stessi.
Negli anni ’80 le ricerche di Louise Lawler, Sherrie Levine e Richard Prince tra logiche di appropriazione ed attivismo politico prolungano queste riflessioni ponendo l’accento su cosa possa essere considerato opera d’arte gesto e artistico.
Forte la critica di Louise Lawler nell’opera Helms Amendment del 1989. 94 fotografie di altrettanti bicchieri e sei testi applicati sui muri denunciano il momento in cui il Senato degli Stati Uniti decise che i fondi messi a disposizione non dovessero essere utilizzati per la ricerca sull’Aids.
La galleria 4 è dedicata a Rudolf Stingler, celebre artista italiano che nel 1988 ha pubblicato un manuale tramite il quale spiegava la sua tecnica pittorica. Qui tre opere molto diverse sono state scelte appositamente per confermare la sua visione dell’arte come condivisione: una delle tre grandi riproduzioni fotografiche rappresenta Franz West amico dell’artista, un’altra Paola Cooper, sua gallerista a New York, la terza Kirchner, il noto pittore espressionista. Per Stingler dipingere è anzitutto un’operazione concettuale, un’ esplorazione dei parametri dell’opera d’arte.
In un continuum tutto attorno alla circonferenza rivisitata da Tadao Ando si susseguono le gallerie 5, popolata da opere di Martin Kippenberger, Florian Krewer e Thomas Schütte, la galleria 6 con opere di Miriam Cahn, Antonio Oba e Luc Tuymans e la galleria 7 con Xinyi Cheng, Peter Doig, Marlene Dumas, Kerry James Marshall, Ser Serpas, Claire Tabouret e Lynette Yiadon-Boake.
Questa esposizione riunisce attorno alla rappresentazione della figura umana alcuni artisti nati negli anni ’50 affiancati ad artisti più giovani ed emergenti.
Figure oniriche o reali, allegoriche o ibride inducono a riflettere sull’essere senza un’ interpretazione unica ma con voci multiple.
A conclusione della visita, i sotterranei presentano l’installazione sonora di Tarek Atoui artista francese formato alla musica elettroacustica.
Oggetti installati sono al contempo sculture e strumenti che stabiliscono una piattaforma di ascolto e di composizione:lo spettatore è invitato a entrare nel cuore dell’esperienza unica a ogni secondo; allo stesso tempo si tratta di una composizione perché ognuno di questi oggetti suona in maniera autonoma una musica unica. Intrecciati tra loro con moderne tecnologie, gli oggetti sono spesso di origine minerale o vegetale, a testimonianza di un percorso che dal passato porta al futuro. L’installazione frutto di 5 anni di studi di tecniche popolari in Cina, è stata presentata a Guangzhou, a Singapore oltre che a Venezia nella Biennale del 2019.
Divide il sottosuolo con Tarek Atoui Pierre Huyghe che con la sua installazione visiva pone la questione del limite tra l’umano e l’animale e della nostra relazione con le macchine: in quest’opera diversi fattori come la temperatura, l’umidità, il movimento dei visitatori sono registrati da strumenti in grado di captare ed emettere suoni e luci in base a quanto captato.
Divertenti e irriverenti infine i piccioni realizzati da Maurizio Cattelan che poggiano minacciosi sulla prestigiosa ed elegante balconata…