Il Castello di Rivoli

Dopo qualche anno dall’ultima visita, ho trovato il Castello di Rivoli meno frizzante e meno curato di quanto mi aspettassi. Qualche installazione mal funzionante o spenta, i custodi che non sanno più o meno nulla di quello che custodiscono (o forse i mediatori e i volontari di altre istituzioni stanno abituando i visitatori troppo bene)… Insomma sarà un’impressione ma il Castello è parso un po’ sottotono.

La prima sala presenta una video installazione di William Kentridge. Nel 1988 nasce l’animazione 3D negli studi Pixar.
Il mondo dell’arte reagisce tornando alla lavorazione con tecniche artigianali, creando un’animazione ‘povera’. Con il ritorno alle tecniche di inizio ‘900 Kentridge realizza una forma di animazione cancellando e disegnando sopra lo stesso foglio per creare immagini in movimento basate sulla carta e sulla stratificazione del gesto. Geniale. Una tecnica di inizio ‘900 in totale contrapposizione con la sofisticata tecnologia le costose produzione di oggi.


Divide la sala con Kentridge, un’ opera “ambientale” di Richard Long in pietra di tufo romano intitolata Romulus circle del 1997: elementi naturali del mondo organico e presenza dell’uomo in natura sono alla base delle opere di questo artista, noto per essere uno dei protagonisti della Land Art. Presente nella sala anche Michelangelo Pistoletto con la grande scultura in acrilico su poliuretano espanso dell’ 84 intitolata Persone Nere.

Le opere contemporanee si mischiano a maschere dell’800 e del ‘900 del Gabon e del Mali in prestito da una collezione torinese.  Elemento di raccordo tra contemporaneo e maschere è un’opera di Beau Dick, un artista nativo canadese che ritrae creature soprannaturali della tradizione occidentale americana.

Charlie don’t surf è il titolo dell’ opera di Maurizio Cattelan da una citazione tratta da Apocalypse Now di Francis Ford Coppola con una scena del film in cui gli americani attaccano e distruggono un villaggio vietnamita per accedere alla spiaggia e cavalcare le onde con il sole. A partire da questa scena Cattelan elaborare un’opera assolutamente crudele in cui si intuisce che il bambino apparentemente sereno seduto a scuola ma in realtà ha le mani trafitte da matite che lo tengono in una situazione immobile.
Fallimento, disperazione, e impossibilità di far uscire l’energia sono alla base della scultura intitolata Novecento del 1997 con un cavallo in tassidermia imbragato, appesa al soffitto.


Oltre alle opere di Cattelan, una scultura di Marisa Merz, una tempera di Picasso e un olio di Alexej von Jawlensky, questa sala presenta un’opera di Bracha Ettinger. L’opera, della serie Euridice, appartiene a un gruppo di opere accomunate dal riferimento alla ninfa che è stata restituita agli inferi a causa del marito Orfeo che non ha saputo resistere alla tentazione di guardarla. L’artista prende l’avvio dalle fotografie di archivio scattate nel 1942 che documentano bambini ebrei prima di essere uccisi dalla polizia tedesca. L’artista usa una fotocopiatrice riproducendo le fotografie fino a ridurle ad una sorta di matrice e moltiplicando gli strappi per ottenere immagini sospese tra l’essere e il non essere. Il risultato è un’opera davvero intensa.

Si dividono la sala seguente l’artista britannica Cecily Brown. Pinot Gallizio, Anselm Kiefer con una bellissima nave in tempesta in piombo ed un girasole essiccato, Lin May Seed, Enzo Cucchi, Emilio Vedova con una grande tela dell’83 e l’artista del Cairo Anna Boghiguian.


Dell’artista olandese  Bas Jan Ader è un film muto che raffigura l’artista che si strofina gli occhi fino a farli lacrimare, aumentando via via l’intensità emotiva. La riflessione dell’artista è tutta incentrata sulla fragilità umana. D’altronde l’artista stesso nel 1975, dopo alcuni anni in California, partì per un viaggio solitario nell’Atlantico e non venne mai ritrovato…
La sua opera è affiancata a un meraviglioso piccolo trittico devozionale di Simone dei Crocifissi in prestito dalla collezione Cerruti.
Bertand Lavier, appena visto in collezione Pinaul a Parigi, occupa il resto della sala con un pianoforte ricoperto da dense pennellate. Dagli anni 80 questa tecnica viene utilizzata dall’artista per effettuare la scelta di alcuni oggetti privati della loro funzionalità e sublimati in opere. É il linguaggio determinare il reale e non viceversa.

Il collasso modernista di un cumulo di rifiuti che dà forma a un’abitazione è alla base dell’opera della tedesca Isa Genzken.

Chris Burden, artista americano, nella sala successiva come un monologo in francese contro la xenofobia.

Non poteva mancare una m**** d’artista di Piero Manzoni del 1961 prestata dalla collezione Casoli di Pienza. L’inscatolamento di un rifiuto mette in discussione il feticismo per la traccia lasciata dall’artista. La profonda critica dei mezzi del sistema socio-economico dell’arte è portata all’estremo con il processo di innalzamento del rifiuto allo status di opera d’arte, offrendo al pubblico le vestigia dell’autore mercificandole e trasformandole in reliquia contemporanee…

Conclude il giro del piano una selezione di video di Regina José Galindo artista del Guatemala che personalmente apprezzo molto. Tematiche politico-sociali economiche ed ecologiche con un’attenzione volta a denunciare le violazioni dei diritti umani, costituiscono il nucleo della riflessione dell’artista. Crea performance a radicali e scomode perché racconta abusi di potere, ingiustizie sociali e violenze.

Interessante e complessa installazione di Fabio Mauri, drammaturgo e artista contemporaneo, che accosta una foto di Goebbels scattata mentre questi visita all’esposizione del 1936 Entartete Kunst, una litografia De Chirico, un altoparlante che ripete continuamente la frase ‘Che cos’è la natura’ in diverse lingue, una equazione matematica presentata su una lavagna e due gabbie che riproducono il suono del terremoto. L’installazione, presentata alla Biennale di Venezia del 78 è una riflessione sulla vita l’arte la cultura e rapporti umani e si intitola i Numeri Malefici.

Tra le più strane installazioni contemporanee troviamo due opere di George Grosz in cui segno, disarmonia cromatica e velocità nella linea che definisce i contorni restituiscono scene e di forte impatto, assolutamente moderne per l’epoca in cui vengono realizzate, gli anni 30.

Michelangelo Pistoletto e Giacomo Balla insieme a Marzia Migliora occupano la sala successiva. La celebre Venere degli stracci del 67 di Pistoletto esemplifica l’opera dell’artista a metà tra il linguaggio dell’arte povera e linguaggio dell’arte concettuale, in un dimensione particolare e universale. L’opera ritrae Venere, metafora in assoluto della memoria della Bellezza, nell’atto di volgere le spalle allo spettatore e al mondo stesso, mentre affonda sguardo in un cumulo di stracci colorati simbolo della temporaneità e della vivacità della quotidianità.

Magnifica l’opera La pazza di Giacomo Balla del 1905, dedicata all’emergenza sociale, realizzata con tecnica divisionista e taglio di ispirazione fotografica. Espressivo il decorativismo della cornice, anch’essa dipinta da Balla, e assolutamente unica questa figura di donna con capelli arruffati e abiti dimessi, sullo sfondo di un campo illuminato dal sole.
La tensione degli arti, l’espressione del volto, la posizione dei piedi, tutto di quest’opera parla, persino la cornice.

Fortissimo il video di Monica Bonvicini, che conosco da Art Basel e che apprezzo molto. L’opera del 1998 rappresenta il martellamento senza fine di un muro: l’artista espone lo stretto rapporto che lega lo spazio edificato all’immagine del potere e mette in questione il ruolo passivo tradizionalmente attribuito alle donne. Costruire è una prerogativa maschile. La mano femminile abbatte quindi il muro ma il video non mostra mai la distruzione completa, l’ intonaco si sgretola, appaiono i mattoni e poi l’azione ricomincia.
Metafora dell’esistenza femminile, direi.

Il secondo piano è dedicato alla mostra su Achille Bonito Oliva, critico e curatore d’arte contemporanea. La prima sezione della mostra è dedicata alla curatela delle esposizioni attraverso una selezione di opere che rievocano tutti gli appuntamenti più importanti da lui curati.
La seconda opera ricostruisce lo spazio privato dello studio con le più importanti pubblicazioni scientifiche. La terza area è dedicata all’espressione comportamentale, al rilievo di Bonito Oliva come personaggio pubblico. Tra le opere più interessanti della prima sezione, un De Dominicis del 1988, un Paladino dell’83 e un de Chirico in prestito dalla Collezione Cerruti.

Molto interessanti le sale dedicate alle mostre storiche  ‘Vitalità del negativo’ e ‘Contemporanea’, con opere di Luciano Fabro, Daniel Buren, Dan Flavin, Schifano e Rauschenberg, in prestito da diverse collezioni per ricostruire quelle che furono tappe di assoluto rilievo nella vita lavorativa di Bonito Oliva e nella storia della critica italiana.


Segue la sala ‘Punti cardinali dell’arte’, dedicata alla biennale del 1992 curata da lui. Tra gli artisti Matthew Barney e  Louise Bourgeois, entrambi riconosciuti oggi come grandi artisti.


Segue una sala dedicata a Ubi Fluxus ibi motus mostra del 1990 agli ex granai della Repubblica alle Zitelle, Giudecca. Allan Kaprow, Nitsch, Boetti e Shimamoto tra i protagonisti.

“MINIMALIA” del 1997 la protagonista della sala successiva con opere, tra gli altri, di Giulio Paolini e di Francesco Lo Savio.

Magnifica l’ installazione di Giovanni Anselmo con foglie secche racchiuse da una fitta rete di metallo. La stanza rievoca la mostra ‘Le stanze’ a Castello Colonna a Genazzano nel 1979,inaugurata a meno di un mese dalla mostra ‘Opere fatte ad arte’ che segna l’esordio della transavanguardia, a Acireale. Nel titolo ‘Le stanze’ la rievocazione delle stanze per La Giostra del poeta Poliziano. In questa esposizione è forte il dialogo tra gli artisti e lo spazio del Castello. a differenza della mostra di Acireale, quella di Genazzano non si focalizzò sulla transavanguardia includendo i diversi protagonisti ma attivò un dialogo tra loro e le ricerche afferenti all’arte povera di cui importante esponente fu appunto Giuseppe Penone. ‘Le stanze’ quindi come momento di sintesi critica sul decennio che era appena trascorso e al contempo una prospettiva su quelli che dovevano venire, elemento che da un lato la accomunava quella mostra a ‘Vitalità del negativo’ e dall’altra preannunciava le mostre successive come ‘Aperto 80 ‘e ‘Avanguardia transavanguardia’ del 68-77.
Una figura quindi, quella di Achille Bonito Oliva, di difficile lettura ma che ha avuto nel corso dei decenni ruoli grande importanza e indubbio talento.

La manica lunga del Castello presenta un’esposizione di Anne Imhof intitolata Sex, costruita in buona parte di transenne con pannelli di vetro, espressione del nostro tempo tra separazione delle persone e negazione della stessa separazione tramite il vetro. Si creano strutture quasi attraversabili, discontinue e definite da trasparenze. Un’esposizione complessa formata da una performance sonora, elementi architettonici, musica, disegni e dipinti. L’artista si appropria di diverse opere anche antiche sviluppando una sequenza di performance con un nutrito gruppo di collaboratori.
La mostra prevede inoltre che alla restituzione del dipinto Narciso di Caravaggio, in prestito da Roma, venga realizzata una performance funebre. Altri prestiti illustri sono Artemisia Gentileschi dalle collezioni di Intesa Sanpaolo, Gioacchino Assereto dalla collezione Cerruti, Jusepe de Ribera di nuovo dalla collezione Cerruti e ancora De Chirico e Giacometti. Tutti quindi in dialogo con Anne Imhof e le sue transenne nonché le sue serigrafie ed i suoi olii su tela.

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