Sorprende fino a un certo punto che per vedere un numero adeguato di opere di donne esposte sia stato necessario organizzare una mostra dedicata solo all’arte delle donne.
Caso vuole poi che proprio il biennio 2020-2021 dedicato dal Comune di Milano al talento delle donne sia stato proprio quello massacrato dalla pandemia ma tant’è…
La mostra Le Signore dell’arte celebra finalmente a 34 artiste vissute tra rinascimento e barocco con 133 opere tra ricami, stampe, opere su carta e dipinti su tavola e su tela.
Apre la mostra Sofonisba Anguissola (1535-1625) con la Madonna dell’Itria del 1578, unica opera del periodo siciliano dell’artista.
L’opera racconta del matrimonio della pittrice cremonese con il nobile siciliano Fabrizio Moncada, morto in giovane età durante un viaggio per mare. La pittrice lasciò il dipinto al convento di San Francesco di Paternò, che lo custodisce tuttora, che si impegnò a dire una Messa tutti gli anni nell’anniversario della morte dell’amato Fabrizio. Chiari cenni autobiografici sono nell’autoritratto dalla Madonna e nelle due navi naufraganti sullo sfondo.
In seconde nozze Sofonisba sposò Lomellini anche in assenza dell’ approvazione del re di Spagna suo protettore. Protettore e ammiratore invece delle sue capacità di pittrice fu Michelangelo, nonchè Bernardino Cambi di cui era allieva.
Presente in mostra il capolavoro Partita a scacchi del 1555, concesso in prestito dalla Polonia.
Il gioco é una chiara allusione al rafforzamento della figura femminile: la regina che si muove liberamente sulla scacchiera ed è la più forte di tutti è emblema di questo rafforzamento e le tre sorelle dell’artista, rappresentate nel dipinto, ne prendono coscienza e se ne rallegrano.
Dopo Sofonisba, la mostra celebra
Claudia del Bufalo (date non certe), Lucrezia Quistelli (1541-1594) e la straordinaria ricamatrice Caterina Cantoni (1542-1601).
Tra le artiste attive in convento, Plautilla Nelli apprese le tecniche della pittura da autodidatta. L’arte vista come elevazione spirituale fu motore di apprendimento e di insegnamento, tant’è che fu anche a capo di un’officina sacra all’interno della quale insegnava secondo i canoni del Savonarola.
Di Orsola Caccia (1596-1676) interessante il dipinto del 1630-40 Natività di San Giovanni Battista, tutto popolato da sole donne.
Magnifico anche il ritratto di Eleonora Gonzaga I del 1622 realizzato da Suor Lucrina Fetti.
Tra le figlie d’arte, Lavinia Fontana (1552-1614) era figlia di Prospero.
Sostenuta dalla famiglia (e anche dal marito e dagli 11 figli!) Lavinia dipinse per tutta la vita facendo dell’arte la propria professione, ritraendo l’aristocrazia del tempo.
Tra le opere esposte Galatea e amorini del 1590 e Giuditta e Oloferne del 1595. Giuditta è da includersi tra le eroine protagoniste delle rappresentazioni post concilio di Trento in reazione alle dottrine calviniste e luterane.
Bellissima la Consacrazione della Vergine del 1599 in prestito da Marsiglia.
Coetanea di Lavinia Fontana fu Barbara Longhi (1552-1638) che mosse i primi passi nella bottega paterna. La sua carriera non andò mai oltre l’area di Ravenna, ciò nonostante Vasari la ricorda nelle Vite quando accenna al padre Luca Longhi. Elegantissimo il suo ritratto di Santa Caterina d’Alessandria del 1580.
Oltre 200 le tele dipinte da Elisabetta Sirani (1638-1665) prolifica e rapidissima pittrice, rispettata da molti e direttrice della bottega paterna. Sepolta accanto a Guido Reni -ben più noto esponente della pittura bolognese-, Elisabetta si impegnò a diffondere il classicismo barocco di Guido e si specializzò in rappresentazioni di donne eroiche e ritratti.
Tra le opere, Porzia che si ferisce alla coscia del 1664. Moglie di Bruto, la donna si ferì per convincere della propria forza il marito e lo convinse a rivelarle della congiura ai danni di Cesare. Generalmente Porzia viene raffigurata mentre si suicida ingoiando carboni ardenti ma Elisabetta Sirani scelse di raffigurarla in un momento di estremo coraggio e forza.
Sulla stessa scia di celebrazione della forza femminile, Elisabetta Sirani rappresenta Timoclea nell’atto di uccidere il Capitano di Alessandro Magno che le aveva usato violenza. L’opera del 1659 raffigura il momento in cui la donna di Tebe reagisce al tentativo di furto e suggerendo al Capitano che i suoi beni siano in fondo a un pozzo, lo spinge dentro e, non paga di questo, gli lancia anche delle pietre addosso…
Delicatissime in compenso le giovani donne dipinta da Ginevra Cantofoli (1618-1672), un’altra artista bolognese del 600.
La sala successiva è dedicata a Fede Galizia e alla Tintoretta.
Fede Galizia (1574-1630?), molto vicino all’ Arcimboldo, si dedicò per lo più alle nature morte, genere nel quale eccelse per qualità ma produsse molto anche nella ritrattistica e nella pittura sacra. Purtroppo è presente in mostra solo una sua opera.
Come Tintoretta (1554-1590) è invece nota Marietta Robusti figlia del Tintoretto. Riconosciuta come grande artista, Marietta fu invitata alla Corte degli Asburgo ma il padre non le permise di lasciare a Venezia. Pare fosse di grande bellezza ma che si vestisse da uomo per poter lavorare nella bottega del padre…
Chiara Varotari (1584-1663) era invece sorella di Alessandro detto il Padovanino, pittore all’epoca di grande fama. Quando il fratello si trasferì a Venezia nel 1614, Chiara lo seguì. Come fece Elisabetta Sirani a Bologna, Chiara organizzò una scuola di pittura per donne a Venezia. Eccellente pare fosse la sua capacità di dipingere i tessuti.
Le tre figlie del pittore borgognone Vincent Voulot – italianizzato in Vincenzo Volò- divennero note per la capacità di dipingere fiori e Nature morte.
La più famosa fu Margherita che nacque nel 1648 e imparò tutto dal padre. Seguì a 19 anni Il marito Ludovico Caffi a Cremona e da quel momento iniziò l’ascesa di questa donna che guadagnò un posto nella storia dell’arte. Lavorò per grandi famiglie e corti europee ma non si dedico mai all’illustrazione di altro soggetto. Gli Este furono tra i suoi committenti. Notevole anche la sorella Francesca che portò avanti con successo la bottega del padre a Milano.
Giovanna Guerzoni (1600-1670) fu la migliore miniaturista barocca. Il guazzo, un tipo di tempera, fu la tecnica preferita dall’artista. Molto amata dalla Granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere, Giovanna creò per lei anche magnifici ventagli. Le opere in mostra sono assolutamente strepitose.
Virgilia Vezzi (1601-1638) sposò Simon Vouet e divenne membro dell’Accademia di San Luca, tributo straordinario per un artista di sesso femminile. Per tutta la -purtroppo- breve vita assistette il marito, altrettanto talentuoso e naturalmente più noto di lei.
La mostra si conclude ovviamente con un tributo ad Artemisia Gentileschi, artista finalmente conosciuta ed adeguatamente apprezzata anche dal mercato dell’arte. Artemisia, una donna di straordinaria forza che riuscì a ribaltare la drammatica situazione nella quale si trovò trasformandola in un punto di partenza, riuscì con le sue sole forze a riabilitare il proprio nome e a diventare una pittrice molto richiesta.
Dolcissima la Madonna del Latte del 1617,
mentre fortissimo e spavaldo è David con la testa di Golia del 1630.
Appresi rudimenti e tecnica nella bottega del padre Orazio, Artemisia fu capace di trarre insegnamenti dal manierismo cinquecentesco e sintetizzarli in un drammatico realismo seicentesco.
Forte l’impatto dell’ultima opera in mostra. La tela – appena ricondotta alla produzione della pittrice – si trova in Italia insieme ad un’altra per essere sottoposta ad un delicato restauro poichè rimasta fortemente danneggiata dall’esplosione del 2020 a Beirut.
La mostra, ricca e molto ben congegnata con diversi video esplicativi, punta i riflettori su artiste quasi completamente dimenticate ma che dimostrano, nelle spendide opere esposte, consapevolezza, tenacia, sapienza e …sicuramente una buona dose di resilienza per essere riuscite ad emergere -o se non altro a non soccombere- in un mondo dominato ieri come oggi da uomini.