Il realismo magico non è uno stile o una corrente organizzata ma un modo di percepire ed interpretare la realtà attraverso una pittura opposta al futurismo ed all’espressionismo. Nasce alla fine della grande guerra. Si distingue dal gruppo Novecento di Margherita Sarfatti ma condivide con esso alcuni artisti. Si oppone alle deformazioni espressioniste e si distingue da tutto, anche dalla metafisica.
Il realismo magico vede la coesistenza di una rappresentazione oggettiva con un’atmosfera sospesa e surreale. La realtà è il punto di partenza di una trasfigurazione che passa attraverso l’immaginazione, la meraviglia capace di rivelare il mistero che si nasconde dietro al mondo rappresentato.
L’illustrazione è oggettiva ed è una sorta di rivelazione della magia del quotidiano.
Le figure sono icone di ieraticità in una luce tagliente che dà sostanza alla scena.
La mostra a Palazzo Reale, visitabile fino a fine febbraio 2022, consente di avvicinarsi ed approfondire la conoscenza degli artisti più rappresentativi del realismo magico, da Felice Casorati ad Ubaldo Oppi, da Antonio Donghi a Cagnaccio di San Pietro, da Mario Sironi a Giorgio de Chirico ed a Carlo Carrá.
Apre la mostra l’emblematico ritratto di Silvana Cenni di Felice Casorati, artista che sceglie Torino dopo la guerra perchè è una città ‘quadrata’ dove sente che la sua pittura può svilupparsi.

Negli anni della guerra Carlo Carrà abbandona il futurismo, si volge al ‘300 e ‘400 italiano e torna al primitivismo. Le figlie di Lot del 1919 è una delle opere che segna l’ inizio del realismo magico.
L’opera non è stata subito capita (soprattutto dagli amici futuristi). La calma che sottende la scena è parte fondante della stessa.

Il ritorno alle origini è auspicato e ricercato anche da De Chirico. La sua dichiarazione pubblicata sulla rivista Valori Plastici è una delle frasi simbolo del movimento: “Bisogna scoprire il demone in ogni cosa”. De Chirico ritiene sia saggio e necessario per l’artista imparare a dipingere studiando i quadri dei grandi maestri e confrontandosi con le tecniche ed i generi della tradizione. L’obiettivo non è un ritorno a-critico ma è cercare di reinterpretare l’equilibrio e la levigatezza cromatica alla luce delle conquiste della pittura.

Mano a mano che si percorre la mostra, si scopre che bene o male tantissimi artisti sono passati per il realismo magico. Tra questi Severini, presente con La maternità del 1920 in prestito da una collezione privata, Mario Sironi con L’allieva del 1924 della collezione Etro ed Achille Funi con due opere del 1921: Maternità e La Terra.



L’atmosfera di calma quotidianità caratterizza la scena della Maternità. Funi partecipa alla mostra organizzata da Margherita Sarfatti nel 1923. La solidità della forma ereditata dalla tradizione quattrocentesca ferrarese caratterizza tutta la produzione di Funi.
Proseguendo nel percorso della mostra,i tre ritratti della famiglia Gualino di Casorati contribuiscono ad affermare Casorati come alfiere del gruppo.
C’è un’atmosfera familiare ma una sensazione perturbante.

Felice Casorati ed Ubaldo Oppi sono probabilmente le figure più presenti in mostra e constato con piacere finalmente una riscoperta della figura di Oppi -dimenticato dal mercato negli ultimi anni così come Mario Tozzi che forse non ha ancora avuto il riscontro che gli sarebbe dovuto. In Mattutino del 1927, in prestito dal vicino Museo del Novecento, si riscontrano le caratteristiche di sacralità del quotidiano e di magia di un’ambientazione sospesa che sono alla base del realismo magico. Su Tozzi, sposato con una francese e molto spesso spesso in Francia, fortissima anche l’influenza di Cézanne.
Cézanne, la metafisica che isola i soggetti e non li fa dialogare con lo spettatore e la solidità delle forme arcaicizzate sono alla base della ricetta di Tozzi.

L’influenza dei macchiaioli si vede invece nella produzione di Baccio Maria Bacci che si era formato infatti con Fattori. Splendido il suo Pomeriggio a Fiesole del 1926-1929.

Alla base della poetica di Marco Broglio invece composizioni monumentali con volontà di ritorno all’ordine ma desiderio di apertura verso l’ Europa e verso gli influssi della nuova oggettività. Broglio darà vita con la moglie alla rivista Valori Plastici che coinvolgerà non solo De Chirico ma anche Carrà e tanti altri artisti.


Uno dei manifesti del realismo magico è senza dubbio l’opera del 1928 di Cagnaccio di San Pietro intitolata Dopo l’orgia.
Straniamento, potenza descrittiva. La modella è la stessa, l’inquadratura assolutamente innovativa. La carica erotica è anesterizzata dall’atmosfera che rimanda all’oggettività tedesca. Il fascio littorio sul polsino e la sottile allusione alla corruzione morale dell’élite fascista lo portano all’esclusione alla Biennale di Venezia presieduta dalla Sarfatti e la critica varrà a Cagnaccio di San Pietro l’oblio.

Gino Severini ha un ruolo chiave e di cerniera tra Francia e Italia. Nel 1921 pubblica Dal cubismo al classicismo e passa effettivamente dall’ estetica cubista al neoclassicismo, dove Pulcinella e gli Arlecchini diventano personaggi chiave.
Le maschere gli permettono di umanizzare le sue geometrie.

La semplificazione formale, il classicismo italiano e la semplicità dell’ impostazione sono i primi aspetti che emergono nelle opere di Antonio Donghi ma in realtà c’è un mondo dietro alle sue figure. Eccezionali le donne che si siedono da sole al bar, autonome e moderne.

La mostra si conclude con l’opera L’alzana del 1926 di Cagnaccio di San Pietro, emblema della nuova oggettività italiana. Uomini usati come bestie da soma, rappresentati nel momento massimo dello sforzo ma al contempo assolutamente astratti dalla scena e sospesi in un atmosfera surreale così come tutte le figure di Antonio Donghi che condividono la stanza con la grande opera di Cagnaccio.

Solidità plastica e spazialità intrisa di un realismo arcaicizzante. Ecco la ricetta di questo realismo magico così ben raccontato dalla mostra a Palazzo Reale. Davvero interessante.