Fondazione Prada e la mostra Recycling Beauty

Fondazione Prada è una cittadella di 19’000 metri quadri dedicati all’arte, un insieme di edifici recuperati da una distilleria degli anni ’10 del 1900 ai quali sono state aggiunte tre nuove costruzioni: il Podium, il Cinema e la Torre.

All’ultimo piano di quest’ultimo curioso edificio di nove piani, disegnato da Ron Koolhaas, dopo aver percorso un piccolo e claustrofobico labirinto al buio, troviamo gli ormai famosissimi funghi di Carsten Höller. Chi non ha fatto un selfie con fungo?? Io l’ho fatto. E in più occasioni, confesso.

L’onirica atmosfera che pervade questo divertente spazio è davvero unica. Carsten Höller è un artista straordinario, visionario, fuori di testa ma al contempo molto scientifico nelle ricerche che porta avanti. Come nelle installazioni del 2016 all’Hangar Bicocca, Höller vuole portare il visitatore a ragionare fuori dagli schemi, estraniarlo dalle proprie consuetudini, sovvertire la realtà e le certezze ataviche. L’alterazione percettiva come medicina per l’uomo moderno. È assolutamente geniale.

Sullo stesso piano dei funghi troviamo l’installazione Blue Line di John Baldessari che propone una riflessione sull’immobilismo della fotografia del Cristo disteso di Holbein in rapporto al movimento del visitatore filmato da una telecamera e riproposto nella sala attigua. Il lavoro è del 1988 quindi propone un approccio pionieristico alla videoarte.

Scendendo troviamo un piano quasi interamente dedicato a Damien Hirst. Le sue opere sono sempre difficili da digerire, anche quelle qui in Fondazione: le riflessioni sulla caducità dell’uomo e sulla morte trovano qui esemplificazione nelle installazioni con mosche e nel monocromo a parete composto da piccoli cadaveri… Non c’è alcuna volontà di ‘indorare la pillola’ allo spettatore: la realtà dura e pura della morte viene senza mezzi termini rappresentata nelle opere di Hirst.

Decisamente più ludici, rilassati (e parecchio scenografici!) gli altri piani dedicati a Pino Pascali e a Walter de Maria, mentre bello e significativo mi è parso l’accostamento di Jeff Koons a Carla Accardi che punta un faro su una grande protagonista femminile dell’arte italiana in parallelo al conosciutissimo americano Koons.

Mentre i coloratissimi Tulips dalla serie Celebrations di Koons esposti in centro alla sala ribadiscono il continuo fascino dell’artista per le suggestioni dell’infanzia, ricreando in scala ingigantita oggetti generici (in questo caso tulipani), i sicofoil della Accardi esposti a parete risalgono alla fase più matura dell’artista che sperimenta ed esplora colori e materiali moderni. Tanto ci sarebbe da dire anche sulla bellissima ceramica di Fontana esposta al ristorante dell Torre ma è la mostra Recycling Beauty ad attirare l’ attenzione in queste settimane poichè a breve chiuderà i battenti, mentre le opere nella torre fanno parte della collezione permanente e sono sempre visibili

La mostra è dedicata al tema del riuso di antichità greche e romane nel periodo dal Medioevo al Barocco. A scuola ci insegnano che il motivo per cui tante opere o architetture non sono rimaste integre fino ai giorni nostri -al di là dalle aggressioni del tempo e dell’incuria dell’uomo- è che sono state prelevate dai siti originari e riutilizzate in altri contesti, dove servivano. In primis colonne e pietre ma anche rilievi, sculture, capitelli. Questa è la premessa di questa interessante mostra ma lo scopo finale è offrire una lettura attuale del fenomeno del riutilizzo che significa non solo prelievo e ricollocazione, ma anche nuova valorizzazione del pezzo, un “risveglio” che in qualche modo dobbiamo interiorizzare e riproporre ai giorni nostri.

La modalità espositiva è in forte contrapposizione con l’antico: è moderna, originale, sperimentale e questo amplifica la modernità del messaggio proposto da Salvatore Settis, grande archeologo, e da Fondazione Prada. Alcune collocazioni sembrano postazioni da lavoro, con addirittura sedie da ufficio davanti, quasi a stimolare lo studio dei pezzi esposti.

Appena entrati troviamo una preziosa coperta di evangelario che risale all’epoca di Carlo Magno (IX secolo d.C. circa), rilegata a fine 1400 e che include un prezioso cammeo dell’epoca di Costantino (IV secolo d.C.): l’inclusione dell’antico cammeo è esempio della virtuosa attitudine al riciclo celebrata dalla mostra.

Di epoca tardo imperiale è anche il dittico in avorio commissionato nel 487 d.c. per celebrare l’inizio del consolato di Manlio Boezio. Il protagonista con scettro d’aquila imperiale decreta la partenza degli aurighi per le gare. Riutilizzato 200 anni dopo, il dittico reca sul retro due miniature epoca longobarda, reciclate da un registro liturgico.

Il pavone in prestito dal Vaticano, risale invece al II secolo. Simbolo di immortalità, questo pezzo, insieme ad altri ormai perduti, decoravano nel II secolo il Mausoleo Adriano, poi diventato Castel Sant’Angelo. In seguito, questo ed un altro pavone furono utilizzati per decorare una fontana davanti alla basilica di San Pietro.

Salta all’occhio in mostra per presenza scenica e raffinatezza il grande cratere scolpito con scene bacchiche dallo scultore ateniese Salpion nel 50 a.C. È inserito in mostra come exemplum di riciclo perché per anni è stato usato come fonte battesimale nella cattedrale di Gaeta e poi come colonna d’ancoraggio per le imbarcazioni in un porto. Entrato nel Real Museo Borbonico di Napoli nel 1805, fa parte oggi delle collezioni del Museo Archeologico di Napoli.

Il Camillus esposto accanto al cratere risale invece al I-II secolo d.C. ed era stato donato da Papa Sisto IV al popolo di Roma. Con altri, questo pezzo andò a formare il primo nucleo della collezione dei Musei Capitolini.

Altro interessante esempio di riciclo sono la Zingarella ed il Moro realizzati per il cardinale Scipione Borghese dallo scultore francese Nicola Cordier nel 1600. Nel caso del Moro, Cordier recupera una testa antica, una parte di torso e parti antiche e le ricompone per restituire una figura di respiro barocco. Lo stesso procedimento adotta per la Zingarella. E sei lei è rimasta nella collezione Borghese, oggi il Moro fa bella mostra di sé al Louvre. Le due figure sono state qui riunite dopo tantissimi anni.

Emblematica del tema del riuso è la trasformazione del tondo di età romana che rappresentava la deposizione di Meleagro: nel 1500, tramite l’aggiunta di aureole, la scena è diventata una deposizione di Cristo. Il tondo venne utilizzato come decorazione sopra una finestra in un palazzo a Velletri ed è oggi in prestito dal Museo Civico Archeologico della città.

Da segnalare infine, tra le altre numerose opere esposte, il Colosso di Costantino ricostruito per la prima volta in grandezza 1:1. Il Colosso era una delle opere più importanti opere della scultura romana tardo-antica e per aggiungere qualità alla spettacolarità della ricostruzione, sono esposti accanto ad esso due monumentali frammenti marmorei, la mano e il piede destro, in prestito dal Palazzo dei Conservatori a Roma (IV sec. d.C.). Il colosso mostra come la figura, originariamente di Giove, sia stata già nell’antichità trasformata in un Costantino tramite un semplice taglio di barba, sempre nell’ambito del riciclo.

Ciò che la mostra trasmette è che riciclare nel caso dell’antichità ha significato conservare. Decontestualizzare, ricollocare e riutilizzare sono state le azioni che hanno consentito all’uomo di trasmettere reperti e l’invito è che siano elementi chiave anche della nostra contemporaneità.

I prestiti da musei prestigiosi come il Louvre, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, i Musei Capitolini, i Musei Vaticani e gli Uffizi conclamano al Fondazione Prada come uno dei più autorevoli e interessanti poli culturali di Milano.

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