DALI’, MAGRITTE, MAN RAY E IL SURREALISMO

La mostra dei capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam attualmente in corso al Mudec di Milano è un’ottima opportunità per approfondire la conoscenza dei surrealisti e per indagare i rapporti che ebbero con i dadaisti, anch’essi ben rappresentati in questa occasione. Un ulteriore aspetto di interesse della mostra è che le opere in prestito non sono sempre tutte visibili al museo di Rotterdam.

Esposte nelle prime sale, due delle opere più interessanti e rappresentative: Couple aux têtes pleines de nuages di Dalì del 1936

e Le modèle rouge III del 1937 di René Magritte, enigmatico capolavoro in cui non c’è traccia nè di rouge nè di III ma è forte la recriminazioni verso una civiltà, la nostra, in cui l’uomo ha dovuto indossare della calzature e ha perciò perso il rapporto con la terra e con la natura genuina.

Il surrealismo nasce nel 1924 con il manifesto scritto da André Breton che propone di realizzare una rivoluzione della mente. I primi surrealisti si raggruppano a Parigi in seguito alla fine della prima guerra mondiale e questa non é solo una concomitanza casuale: a causa della guerra gli artisti hanno perso ogni fede nel progresso e, rifiutando valori e convinzioni tradizionali per la loro società, propongono di creare una nuova realtà.

Il surrealismo è senza dubbio legato a doppio filo al dadaismo che l’aveva preceduto di pochi anni. Scrittori ed artisti dadaisti furono i primi che, indignati per orrori della guerra, diedero vita a un primo moto di irrazionale e assurdo dovuto al rifiuto di quell’ ordine e di quella logica che avevano condotto l’uomo all’aberrazione della guerra.

Esemplificativi di questo profondo turbamento legato alla storia sono i due dipinti del più celebre tra i surrealisti, Salvador Dalì: terribile Le visage de la guerre del 1940 in cui teschi si intravedono in teschi che presentano altri piccoli teschi

e España del 1938 dove un brandello di carne insanguinata che pare anche un mantello da torero esce da un cassetto di un mobiletto-plinto al quale si appoggia una personificazione della Spagna quasi invisibile: i suoi seni sono collegati da lance impugnate da cavalieri mentre il suo viso (omaggio alla Scapiliata di Leonardo) emerge se si osservano i cavalieri che si scontrano. Oltre al dramma del conflitto mondiale infatti, gli artisti spagnoli recavano anche le ferite nell’anima per la guerra civile che insanguinava la loro terra. Chiari in diverse opere di Dalì i riferimenti al Nord Africa da cui erano partite le truppe di Francisco Franco.

Il Surrealismo non è definito da un’estetica chiara, ogni artista lo interpreta come crede ma i presupposti e gli intenti sono comuni a tutti i componenti del gruppo e mentre il Dadaismo intende distruggere il passato ed è come se osservasse il presente senza proposte per il futuro, le proposte dei surrealisti vanno nella direzione della psicanalisi e del marxismo: la rivoluzione del pensiero deve proseguire anche in rivoluzione sociale. Anche l’uso di droghe fa parte del mondo surrealista e Dalì è uno dei primi che dagli inizi degli anni ’30 non si nega al delirio interpretativo.

Interessante e pertinente l’approfondimento dedicato al legame tra Surrealismo e culture native extra-occidentali indagato nella sessione della mostra curata dal prof. Alessandro Nigro. Già nel 1923-24 a Parigi si tiene una mostra di arte indigena delle colonie francesi, nel 1926-27 sulla rivista La révolution surréaliste diventa una rubrica fissa. Anche le gallerie surrealiste si distinguono per inusuali esposizione di oggetti etnografici. Gli artisti integrano i manufatti nel loro programma artistico. É sincero il loro impegno politico nella difesa delle popolazioni native ma talvolta contraddittorio rispetto alla loro attitudine collezionistica.

La mostra ha anche il pregio di presentare artisti meno conosciuti al grande pubblico come Paul Delvaux, Piet Ouborg, Victor Brauner, Unica  Zürn o Kristians Tonny che lavorarono negli stessi anni dei grandi maestri ma che per motivi di critica e mercato sono rimasti più indietro e vengono riscoperti solo ora.

Infine, una stanza dedicata interamente a Magritte rende omaggio al grande artista in chiusura alla mostra e lascia senza parole i visitatori: non vedere ciò che si dovrebbe vedere e vedere ciò che non dovrebbe essere visibile, abbandonare il dejà vu per entrare in un jamais vu… credo non basterebbe una settimana in queste sale per capire davvero le opere e gli artisti surrealisti…

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