Ospite d’eccezione della mostra al Diocesano fino al 7 maggio è la Crocefissione di Masaccio del 1426 in prestito dal museo di Capodimonte di Napoli. Cuspide del magnifico polittico della Chiesa del Carmine di Pisa -polittico smembrato nel corso dei secoli e suddiviso tra il Getty di Malibu, la National Gallery di Londra, Berlino, Pisa e appunto Napoli- questo dipinto è il culmine di una bellissima mostra dedicata ai fondi oro.


Accompagnata da un ciclo di conferenze, la mostra celebra la donazione della collezione di fondi oro del giurista Alberto Crespi (1923 -2022) al museo Diocesano e offre l’occasione per un ‘ripasso’ della figura di Masaccio dopo tutta l’arte moderna assoluta protagonista di questi tempi recenti.
Al pari di Van Eyke per la pittura nordica, Masaccio fu caposcuola della pittura italiana. Il giovane Masaccio, vedendo le sculture di Donatello, si chiedeva come mai in pittura non si riuscissero a rendere le forme ed i volumi allo stesso modo… E questo interrogativo lo portò a riflettere per primo sulla luce.
Incredibile è l’evoluzione della sua arte nell’arco della sua breve vita, soli 27 anni.
Il Trittico di San Giovenale, decisamente tardogotico (è datato 1421), è il suo punto di partenza: il trono e la soglia se vogliamo non sono nemmeno perfetti prospetticamente ma le dita in bocca del Bambino lasciano intravedere qualcosa di estremamente moderno e spontaneo.

Quale fu il contesto in cui si inserì l’evoluzione di Masaccio? In quel periodo il pittore più in voga a Firenze era Lorenzo Monaco con le sue figure senza peso. Già cominciava a farsi conoscere Masolino e Gentile da Fabriano veniva chiamato dagli Strozzi per la celeberrima Adorazione dei Magi del 1423, gemma oggi degli Uffizi.
Nel 1424 troviamo Masaccio e Masolino -spesso contrapposto a Masaccio ma in realtà pittore raffinatissimo- lavorare insieme sulla tavola nota come Sant’Anna Metterza, conservata oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze. L’opera è uno dei dipinti chiave non solo della produzione dell’artista ma anche del passaggio dal tardogotico al Rinascimento.

Ma è nel 1424-1425 alla Cappella Brancacci che troviamo la massima espressione di Masaccio.
Celeberrimi gli Adamo ed Eva di Masaccio (e quelli ‘più classici’ di Masolino) ma tra le parti da lui affrescate, ogni figura è davvero riconoscibile. Masaccio all’epoca aveva solo 23 anni anni. Le ombre che si allungano sui malati e gli storpi consentono a Masaccio di ribadire l’importanza della luce e delle ombre per la resa dei volumi e delle prospettive.



Il precedente era Giotto e sappiamo che sia della Cappella Bardi che della Cappella Peruzzi in Santa Croce Masaccio fece delle copie quindi le conosceva bene e senz’altro ne aveva preso spunto. I richiami sono molti soprattutto in termini di sintesi volumetrica ma si vede il salto in avanti di Masaccio rispetto all’illustre predecessore. Bernard Berenson disse di lui «Giotto rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò». Per sessant’anni poi la Cappella Brancacci rimase incompiuta finchè nel 1485 Filippino Lippi terminò gli affreschi.
Il Polittico dei Carmelitani di Pisa da cui proviene la Crocefissione oggi esposta a Milano è stato realizzato in 4 mesi nel 1426. Forse Masaccio intuiva che sarebbe morto giovane? Questo non lo sappiamo ma vediamo come il trono su cui siede la Madonna sia chiaramente esemplificativo dell’evoluzione di Masaccio se confrontato con quello del Trittico di San Giovenale.

Nel 1426 Masaccio dipinse la Crocefissione in Santa Maria Novella che dimostra l’ulteriore e decisiva evoluzione dei suoi studi sui volumi e sulle prospettive.

Purtroppo nel 1428 Masaccio non ancora ventottenne morì a Roma tra atroci dolori non si sa ancora dovuti a quale malattia.
In un mondo che corre troppo e guarda solo all’arte di oggi, questa mostra offre la possibilità di fare un tuffo nel nostro passato e vedere da dove veniamo.